lunedì 19 settembre 2011

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giovedì 7 luglio 2011

INGLESE, SPAGNOLO E FRANCESE: NUOVO SITO, NUOVE OFFERTE

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L'apprendimento di una nuova lingua

l’apprendimento di una seconda lingua è un argomento studiatissimo, anzi, uno dei primi argomenti studiati dalle scienze cognitive insieme alla rappresentazione cerebrale delle aree del linguaggio di Broca e Wernicke! Non ci vorrebbe molto, quindi, a progettare un sistema didattico che tenga conto di quanto sappiamo sui meccanismi di apprendimento invece che su altre questioni, ma vabbé…

La fonte più diretta di apprendimento di una lingua è la lingua stessa, come hanno dimostrato vari studi: e per imparare in fretta, il contatto con la nuova lingua dovrebbe avvenire a un livello solo un tantino più complesso del proprio, in particolare per quanto riguarda il vocabolario (almeno secondo la monitor theory del linguista Stephen Krashen). Ciò significa che se si vuole insegnare rapidamente una nuova lingua ai bambini, bisogna certamente prevedere dei corsi ad hoc per fornire loro qualche elemento di partenza.

Attenzione, però, perché già negli anni ‘90 Mike Long, linguista dell’Università del Maryland, ha dimostrato sperimentalmente la cosiddetta teoria dell’interazione, ovvero che l’acquisizione di una nuova lingua è accelerata e migliorata dall’uso della stessa nelle interazioni quotidiane. Scoperta dell’acqua calda, in un certo senso -) , giacché fin dall’800 si spediscono i giovani a imparare una nuova lingua all’estero e si cerca di tenereli separati dai loro concittadini affinché la full immersion abbia effetto. E che già basterebbe a smentire l’idea che le classi separate siano un servizio a favore del bambino straniero, che non verrebbe esposto all’italiano o che si troverebbe esposto a un italiano quantomeno traballante, visto che condividerebbe la giornata con altri “non parlanti”. Aggiungiamoci che il cosiddetto insegnamento esplicito (cioè quello formale, basato su fonologia, semantica e grammatica) ottiene risultati inferiori al cosiddetto insegnamento sociopragmatico (banalmente, imparo perché mi serve comunicare). Certo, poi bisogna correggere gli errori dell’apprendimento spontaneo con quello formale, e a questo dovrebbero servire i corsi di lingua per stranieri erogati, però, da personale appositamente preparato (la didattica non è mica cosa che si improvvisa!) e che la scuola non può esimersi di offrire, se il suo scopo è l’integrazione (linguistica, ma non solo).

Anche sugli errori, peraltro, vi sono due teorie: a grandi linee, secondo i seguaci di Chomsky e della sua teoria della grammatica universale, gli errori che fanno i bambini che imparano una seconda lingua sono solo dovuti alla scarsa performance, specie se l’esposizione alla nuova lingua avviene dopo la cosiddetta “età critica” (quella entro la quale si ha accesso facilmente ai meccanismi della grammatica universale e quindi si impara meglio e più in fretta), concetto peraltro ancora molto controverso. Per gli psicolinguisti, invece, gli errori sono affettivamente connottati, e dipendono anche dalle situazioni emotive che hanno caratterizzato la fase di apprendimento: la nuova lingua è servita a crearsi nuove amicizie o è stata fattore di esclusione? I genitori danno valore ai progressi compiuti e vedono positivamente l’integrazione scolastica e linguistica oppure no?

Diversi studi dimostrano anche che lo stress abbassa la performance linguistica, e infatti tutti noi parliamo una lingua straniera molto peggio se stiamo facendo un esame piuttosto che conversando amabilmente intorno a un tavolo (e anche questo dovrebbe far riflettere sulla proposta di istituire esami di italiano per l’ammissione a scuola, valutazione attualmente fatta informalmente dagli insegnanti che osservano il bambino nella vita di tutti i giorni). In tutti i casi, la separazione dei nuovi arrivati dai bambini italiani ne ritarderebbe l’integrazione linguistica.